Franco Corregia

Le campagne collinari della provincia di Asti sono luoghi intensamente segnati, nelle loro configurazioni spaziali, nelle loro dimensioni scenico-percettive, nei loro flussi, nei loro equilibri e nelle loro dinamiche bioculturali profonde, da un’antropizzazione diffusa e polverizzata (sebbene demograficamente contenuta) e dalle attività ad essa correlate.
Nel corso dei secoli l’agricoltura (nelle sue declinazioni tradizionali e nelle sue sedimentazioni storiche), gli insediamenti abitativi (in particolare la trama di villaggi arroccati di sommità) e le reti di infrastrutture viarie e trasportistiche hanno capillarmente riorganizzato, scolpito e plasmato linee, forme, ambienti, coordinate, geometrie, simmetrie, contrasti e cromatismi dei paesaggi naturali e degli assetti ecosistemici originari di questo microcosmo di collina. Ma tale processo di addizione e di accumulo di tracce, segni e relazioni legati alle attività umane non ha comportato l’espulsione definitiva o la mortificazione estrema di quegli elementi di naturalità che, con il loro eterogeneo e multiforme contenuto di biodiversità e complessità ecologica, trattengono il respiro e l’eco aurorale degli antichi sistemi viventi. Questi elementi non sono stati del tutto disarticolati, rimossi ed espulsi dal tessuto paesaggistico in cui si esprime e si materializza la morfologia fisica e culturale dei microsistemi territoriali costituenti l’ambito ecogeografico astigiano. Al contrario, seppur in forme generalmente parcellizzate, confinate, circoscritte e a volte relittuali, sono stati piuttosto inclusi, assorbiti, incorporati e integrati nella matrice antropica di fondo che modula assetti, contesti e contorni del territorio. Tale concatenazione di emergenze e permanenze ambientali interdipendenti modella tuttora in profondità il registro ecopaesistico del continuum territoriale su cui insiste, la sua algebra, i suoi alfabeti generativi, i suoi substrati bioecologici, la sua identità formale.

L’insieme di ondulazioni collinari che costituisce l’ambito territoriale formato dai 22 Comuni astigiani del progetto Romanico Monferrato conserva la forma di una discontinua successione di rilievi, solcata da un tortuoso e ramificato reti­colo di vallecole. Tale sequenza di alture accoglie e risolve ecomosaici complessi e paesaggi diversificati, dove alle geometrie poligonali dei campi e dei prati, alle simmetrie ordinate dei vigneti e alle scansioni regolari delle colture arboree si affiancano (in forme più o meno frammentate e insularizzate) aree densamente boscate. E dove l’intreccio grafico e cromatico delle trame bioecologiche, delle sedimentazioni geomorfologiche e delle reti agroecosistemiche è intessuto e punteggiato da una teoria di antichi villaggi romiti, strettamente raccolti in­torno alla torre o al campanile, spesso scolpiti e modellati sul disegno arroccato del borgo feu­dale medievale, con le case ammassate ai lati di strade ripide e angolose che digradano a cascata da un nucleo centrale in genere costituito dal castello o dalla chiesa parrocchiale. Grumi di cascine, fortilizi ed edifici religiosi annidati in verdi anelli boscosi, che si addensano secondo progressioni intermittenti e altalenanti lungo il profilo fluttuante e frastagliato delle creste collinari, incoronando le vette dei rilievi e tracciando filigrane, incisioni e trasparenze diffuse di storia e memoria.
Nell’area in esame la permanenza di tracce non banali di residua naturalità è in una certa misura favorita dalle caratteristiche intrinseche del territorio. Tali sistemi collinari infatti, pur connettendosi e integrandosi in un contesto paesaggistico ed ecosistemico che ad una prima analisi non mostra forti contrasti o significativi elementi di discontinuità, presentano tuttavia un tratto peculiare che ha interessanti traduzioni sul piano naturalistico. Ci riferiamo alla capacità di tali ambiti di concentrare in spazi relativamente ristretti una marcata compresenza di biotopi e microambienti ecologicamente molto diversi­ficati. Numerosi fattori concorrono nel determinare tale simultaneo addensamento di emergenze microecosistemiche, a cominciare proprio dall’intrinseca specificità della morfologia collinare, con i suoi dislivelli, i suoi accentuati gradienti altimetrici e la sua alternanza di situazioni biopedoclimatiche differenti. Ad essa si aggiungono e si concatenano altri elementi, quali le diverse tipologie della sequenza litologica costituente il substrato geologico, il variare delle caratteristiche pedolo­giche dei terreni, il mutare anche su microscala geografica degli aspetti termici e pluviometrici, l’articolata ramificazione del locale reticolo idrografico. E ancora l’andamento spesso assai mutevole nel sottosuolo della falda freatica in rapporto al piano di campagna, l’ampia e puntuale variabilità delle carat­teristiche orografiche, topografiche, edafiche e microclimatiche che distinguono le diverse componenti territoriali del complesso bioregionale in esame, il grado di copertura vegetale, l’uso dei suoli e così via. Tale configurazione delle matrici ambientali e degli assetti agroecosistemici è alla base del fatto che, all’interno del mosaico di biocenosi che occupa l’etero­genea successione di microambienti in cui si frammenta l’area considerata, si registra tuttora complessivamente un discreto tasso di biodiversità vegetale e animale, spesso superiore rispetto ad altri ambiti post-rurali nei quali l’intensità della progressione dei processi di ruderalizzazione e artificializzazione dell’ambiente ha condotto a gradi severi di ipersemplificazione e banalizzazione biologica del territorio.

Questa poliedrica varietà microambientale che si è conservata tra le ondulazioni collinari astigiano-monferrine disegna una trama reticolare diffusa di siti (lembi relitti di consorzi fo­restali natu­raliformi, zone umide lentiche e lotiche, erbosi xerotermici paranaturali, fasce boscate golenali, formazioni calanchive, cenosi erbacee prative polifite, comunità ecotonali di transizione ad elevata diversificazione fitobiocenotica, angoli conservati di campagna tradizionale, siepi campestri, ecc.) che, per quanto fragili e vulnerabili, si configurano per queste aree rurali come cruciali serbatoi di biodiversità, come attrattori e motori di complessità biosistemica, come nodi strategici interconnessi nelle reti ecologiche bioregionali, come fondamentali elementi di regolazione e controllo del metabolismo, dell’evoluzione, dell’omeostasi e della metastabilità del territorio.
Accanto all’eco delle dimensioni naturali, vi è un secondo elemento cruciale che caratterizza fortemente il registro paesaggistico e la fisionomia profonda di questi mondi di collina. Si tratta della rete articolata di tracce, segni, processi, atmosfere, ritmi, umori, suggestioni e rimandi dove sedimentano, cristallizzano e fermentano la storia, la cultura, la memoria e l’identità dei luoghi e delle genti che li abitano o li hanno abitati. Proprio l’intimo e indissolubile intreccio di valenze ambientali e culturali che percorre il territorio, se guardato in controluce, lascia trasparire le sembianze elusive e sfuggenti del genius loci che abita e incarna il cuore antico e segreto dei luoghi.
I sistemi collinari dell’area astigiano-monferrina in esame appaiono finemente punteggiati da un firmamento di testimonianze storiche, di preesistenze artistiche e architettoniche e di emergenze culturali che racchiudono e restituiscono in ogni momento una parte fondamentale dell’essenza ultima e del senso profondo del territorio. Un firmamento intessuto da una teoria infinita di torri e di castelli medievali, di chiese e di cap­pelle campe­stri, di cascine conta­dine e di casali colonici, di resti di mulini ad acqua e di rimanenze di mura fortifi­cate, di forni a legna e di solai in gesso, di porticati e di cortili, di cantine in tufo e di infernotti, di giardini storici e di vecchi muretti a secco, di piloni votivi e di edicole sacre. Un mantello di manufatti preziosi, che simili a silenziosi gioielli della memoria giacciono incastonati fra le pieghe nascoste e le penombre segrete disegnate dall’accavallarsi delle quinte collinari, con­ferendo a molti angoli sperduti di questo territorio il ruolo di autentici giacimenti cultu­rali del Piemonte. Una galassia di elementi testimoniali che si dirama dendriticamente lungo la successione di alture e vallate in cui si frammentano le terre dell’ambito collinare piemontese, nella quiete solitaria e raccolta della campagna, custodendo all’interno di vecchie mura dimenti­cate ed erose dal tempo l’eco sfumato e la traccia perduta di storie lontane e di memorie dissolte. Una costellazione continua e interconnessa di microelementi culturali che disegna un mosaico policromo le cui tessere immobili e assorte, affioranti come muti relitti sopravvissuti al naufragio nei mari del tempo, continuano a trattenere le dissolvenze nebbiose di ambienti velati di leggenda e a custodire la saggezza aurorale e la sacralità profonda di antichi mondi scomparsi. E non vi è alcun dubbio sul fatto che, all’interno di questa peculiare rete integrata di emergenze storico-testimoniali, l’elemento in assoluto di maggior densità e significato sia rappresentato dallo straordinario mosaico di austere chiese romaniche che da secoli, disperso nell’ombra dei boschi o racchiuso tra le mura dei villaggi, svolge la sua privilegiata funzione di archivio del tempo e scrigno della memoria.
La prerogativa saliente (e dunque il punto di forza più solido) di queste terre di collina non sta dunque tanto nella presenza di singoli elementi eccezionali od unici ad “alta visibilità”, quanto nel convergere di un’ampia serie di fattori interrelati e interdipendenti che cooperando insieme contribuiscono a distinguere ambientalmente e culturalmente tale area rispetto ad altre regioni a conservata vocazione rurale. Del tutto peculiare (e, per determinati aspetti, straordinaria) è infatti la sapiente alchimia di elementi naturalistici, paesaggistici, storici, artistici e antropologici che tali sistemi collinari (olisticamente considerati nella loro inscin­dibile unità fisica, biologica, memoriale e culturale) riescono a miscelare, a rifondere e a declinare, conservando le scansioni di stagioni lontane, gli echi sfumati e le tracce silenziose dei cicli viventi, il sapore antico e dimenticato di tempi perduti.